Ottaviano Trotta e muratori negli anni Trenta. Rielaborazione grafica: Amici di Capracotta
In parallelo con il loro preoccupante spopolamento, negli ultimi anni è cresciuto l’interesse storico e culturale per molti dei nostri, anche piccoli paesi e in modo particolare per Capracotta: come ha dimostrato la splendida monografia pubblicata nel 2019 dal caro Domenico Di Nucci e intitolata:
“Capracotta 1732 – Numerazione dei Fuochi e dei Sottofuochi”;
essa ci ha offerto una dettagliata panoramica demografica, economico-sociale e urbanistica del nostro comune di allora su cui, qualche decennio prima, si era abbattuto il flagello della peste: basti pensare che, dal 3 agosto al 13 settembre 1656, erano morte ben 1126 persone su circa 2000.
Nel libro che citavo è ammirevole lo sforzo di collegare quei “fuochi” ai rispettivi nuclei familiari e ai cognomi dei loro proprietari tra i quali il più diffuso era “Ianiro” seguito da “Di Tella”, “Di Bucci” e “Carnevale”; è sorprendente il dato relativo all’immigrazione in quegli anni remoti, nel senso che Capracotta era un centro attrattivo di primo livello: con alcuni canali privilegiati di provenienza, ad esempio da Gamberale (CH), da Palombaro (CH), da Roccasicura (IS) e da diversi altri centri più o meno lontani.
Nel 1732 i fuochi erano 112, ciascuno con un numero variabile di componenti che si sono avvicendati nel tempo; così anch’io ho letto con molto interesse quel testo e mi sono affannato a cercarne uno cui corrispondesse il nome “Trotta”, ma senza trovarne nessuno.
Poi, mi è tornato in mente che già otto anni or sono, nel 2015, il caro Domenico Di Nucci mi aveva dato notizie del primo Trotta arrivato a Capracotta, nel 1819; si chiamava Vincenzo, un vedovo che in seconde nozze aveva sposato Gaetana Di Tella, figlia di Leonardo e Agata Policella; suo figlio Giuseppe Nicola, del 23 febbraio 1821, fu in assoluto il primo nato in paese ed è suggestivo che anche diversi dei citati nomi di Battesimo siano stati ricorrenti nelle successive generazioni: ad esempio, anche quello di Gaetano in uno dei ceppi storici della mia famiglia.
Questi nostri antenati provenivano da Musellaro, una frazione di Bolognano in provincia di Pescara che avrei voluto visitare in qualche occasione, pur non essendoci mai riuscito; se debbo essere sincero, tuttavia, non mi aveva fatto molto piacere apprendere di quell’origine essendo ora costretto, da inguaribile montanaro, a vivere nella cittadina costiera di Montesilvano, in provincia di Pescara; mi consola in parte il fatto che Bolognano non si trovi sul mare e faccia anzi parte del parco nazionale della Maiella, ma non avrei mai pensato che, dopo tanti anni, toccasse a me di chiudere un singolare circuito migratorio.
Se nel libro dei “Fuochi ci fosse per assurdo anche il mio cognome, lo vedremmo certamente associato al mestiere di “muratore” o meglio, come si diceva allora, di “fabricatore”; questa è stata infatti l’attività prevalente della mia famiglia, almeno nel secolo scorso, a cominciare dal nonno Carmine e da altri congiunti; a tale proposito ha suscitato in me tanta tenerezza l’antica foto che allego, verosimilmente degli anni ’30, che ritrae un gruppo di muratori con un giovanissimo papà Ottaviano (o lo zio Enrico?): sulla sinistra si nota, tra l’altro, un manovale che porta sulla spalla il tipico secchio per la calce: la cosiddetta “callàrella”.
In paese non sono comunque mancate altre tipologie di lavoro, ad esempio nel settore del ferro battuto con veri e propri maestri come lo zio Michele (Zì Chèle): un personaggio davvero straordinario di cui molti ricordano l’antica bottega con la fucina ricavata nella roccia, sul fondo.
In merito alla diffusione attuale del cognome nel Molise, quella più significativa si trova nel comune di Toro, in provincia di Campobasso, l’unica della nostra regione in passato; in questo paese c’è anche una piazza intitolata a Luigi Alberto Trotta, conosciuto per gli studi condotti su un proprio antenato, Domenico: famoso giurista vissuto tra il 1792 e il 1873, che aveva anche ricoperto la carica di “intendente per il Molise” nel 1860.
In Italia sembra che la maggiore presenza di “Trotta” si registri in Campania, con un primato assoluto per il comune di Sassano (SA); è infatti molto suggestivo che, proprio a Salerno, sia vissuta, nel XVI° secolo una donna di nome Trotta che forse è stata la prima a diventare medico nella famosa scuola di Medicina in quella città; era autrice di un celebre volume scientifico in latino dedicato alla salute femminile:
“De muliebrum passionibus ante, in, et post partum”:
un vero e proprio trattato di ginecologia e di puericultura, sempre molto citato per la sua straordinaria lungimiranza.
Il cognome è tuttora ben rappresentato anche in altre regioni italiane come in Puglia e all’estero, specialmente in Germania; è molto nota, ad esempio, Margarethe von Trotta, una famosa regista, nata appunto a Berlino: senza contare che il cognome deriverebbe proprio dalla parola tedesca “Druht”, ma è anche possibile che abbia origine dal comunissimo verbo “trottare”.
A tale proposito mi piace ricordare con molta simpatia Fausto, un collega radiologo dell’Aquila, che mi prendeva in giro quando mi incontrava nei corridoi dell’ospedale facendo schioccare la lingua come per incitare un cavallo: mi diceva che, anche al trotto, questo animale può raggiungere considerevoli velocità e a suo giudizio, a me che camminavo speditamente, si adattava benissimo il proverbio latino di Plauto che recita:
“Nomen est omen” (“C’è un presagio nel nome”)
Non è del tutto infondato, inoltre, che inizialmente il cognome derivasse da trota”, che in dialetto aquilano si pronuncia proprio “trotta” con due “t”; mi è toccato persino rassicurare diverse, scrupolose persone che esitavano ad attribuirmi il nome… di un pesce.
Tornando ora ai Trotta di Capracotta, non è facile riassumere in poche parole i tratti salienti del loro carattere; limitandomi a mio padre Ottaviano e ai suoi fratelli o cugini, non posso che confermare l’opinione più diffusa e cioè che, in genere, si trattava di persone abbastanza scontrose e spesso irascibili; in realtà, ne sono certissimo, erano molto miti e generose, pur rischiando talora di rassomigliare ai “cani che abbaiano, ma che non mordono”.
Non è indolore per me, ma anch’io mi riconosco un po’ in quel difficile carattere di cui faccio spesso fatica a smussare gli spigoli; e voglio ricordare un caro cugino di mio padre, lo zio Ercole che di mestiere faceva il barbiere: anche lui aveva fama di essere abbastanza burbero e io avevo certamente messo a dura prova la sua pazienza quando, da piccolo, piangevo come un disperato solo perché mi tagliava i capelli.
Diventato più grande, facendo finta di non ricordare il mio nome, me lo chiedeva più e più volte e io, dopo aver sempre risposto educatamente, alla fine urlavo esasperato: “Aldo Trotta!!”; e lui di rimbalzo, con molta autoironia, ribatteva esclamando:
“Bella ròbba!” (“Bella roba!”)
che, in altri termini, voleva dire: “Te li raccomando i Trotta!”
Negli ultimi decenni, a Capracotta il numero complessivo di persone con questo cognome si è molto ridotto ma, per unanime riconoscimento, è ammirevole il loro coraggio e lo spirito di iniziativa in diverse attività di lavoro e professionali: tanto più nelle comprensibili, crescenti difficoltà di un paese in alta montagna.
Avviandomi così alla conclusione, la magia delle parole riesce ancora una volta a farmi tornare… bambino e mi sembra di cavalcare per gioco sulle ginocchia della nonna Guglielma ascoltando la sua filastrocca:
“Trotta, trotta cavallino quando viene dal mulino….”;
peccato che quel cavallino sia invecchiato con me e non “trotti” più come allora: a pensarci bene, è davvero strano il mio cognome e forse adesso, purtroppo, anche un po’ beffardo!
Aldo Trotta