Mi vado convincendo sempre più che è stato fondamentale per la mia crescita e la mia formazione il “favoloso” periodo dell’infanzia e della prima giovinezza vissute nel meraviglioso paese in cui sono nato, Capracotta; è grande infatti la mia riconoscenza per quell’irripetibile stagione che, a mio giudizio, è riuscita persino a mitigare lo sconforto degli ultimi anni, inevitabilmente segnati anche dal malumore e dalla mestizia che caratterizzano l’età avanzata.
Sta di fatto che, in maniera forse istintiva, ho cercato di rifugiarmi in quel mondo scrivendo dei miei ricordi e mi sono stupito di ritrovarvi, come da bambino, il “sapore delle favole”; non è cessato, d’altro canto, il timore di apparire ingenuo, quasi puerile, specie esagerando nella sua idealizzazione nostalgica, ma è innegabile il beneficio che dicevo, sia pure recuperandolo nella memoria e nelle parole; proprio in questi giorni sono in corso le celebrazioni in onore del famoso scrittore Italo Calvino, autentico paladino delle favole, cui aveva dedicato buona parte della sua opera letteraria: ad esempio con il volume “Fiabe Italiane” che trae origine dal recupero linguistico e culturale di diversi racconti italiani, anche in dialetto.
Non è certamente casuale che in quella sua opera, oltre a citarlo due volte, compaia tra le voci bibliografiche anche il libro di Oreste Conti, intitolato nel 1911 “Letteratura Popolare Capracottese”; e mi ha fatto grande piacere che, nel mese di luglio scorso, sia stato portato anche a Capracotta lo spettacolo “Calvino 100 – In cammino sul filo delle Montagne”, certamente tra i migliori progetti messi in campo per ricordare il centenario dalla sua nascita.
Come non riflettere, perciò, al profondo significato delle parole che compaiono nella prefazione di quella raccolta?:
“Le fiabe costruiscono un sogno senza permetterci di rifugiarci nell’evasione”; esse infatti non nascondono, ma rivelano tutto ciò che c’è da sapere sulla vita”.
Vene allora spontaneo domandarsi perché, al contrario di quanto sembra accadere per le nuove generazioni, siano i più anziani a sentirsi in così grande debito di gratitudine nei confronti delle…favole; ne ho imprevedibilmente ottenuto la risposta dal professor Alessandro D’Avenia, che nell’inserto “La Lettura” del Corriere della Sera datato 16 ottobre u.s, scriveva:
“La mancanza di meraviglia è il peggior nemico dei nostri tempi; infatti, iper-sollecitati e iper-solleticati da migliaia di stimoli ultramoderni, dovremmo essere dei veri campioni di senso: eppure non è così perché ci sentiamo ancor più dis-persi e in-sensati; barattando i sensi con le sensazioni, infatti, ci affidiamo al ‘sensazionale’ anziché al ‘senso’, alla viralità più che alla verità”;
per inciso, irrita moltissimo anche me sentir diredi ogni pur trascurabile notizia che: “è diventata virale!”: specie se poi si rivela essere del tutto falsa e tendenziosa, come spesso accade.
Tutto ciò spiega bene, io credo, il motivo dell’imprevedibile parere fornito da Albert Einstein a una madre che gli chiedeva come migliorare l’intelligenza del figlio; le rispose infatti, molto seriamente, “raccontandogli le favole”.
“Le fiabe, prosegue Alessandro D’Avenia, a meno che non vengano manipolate e corrette, non fanno sconti alla verità; …“che cosa ti fa sentire vivo? Impegnati a farlo, costi quello che costi perché il mondo, per salvarsi ha bisogno di persone vive. Nelle fiabe i protagonisti fanno così, a loro rischio e pericolo, e per questo vivono felici e contenti, non solo dopo la fine della storia, ma soprattutto durante”.
Perciò si comprende il pensiero dello scrittore che arriva persino a confessare di rileggere tuttora la sua favola preferita quando “ha bisogno di rifarsi il destino”: si tratta del racconto di Italo Calvino intitolato:
“L’amore delle tre melagrane”
e l’autore non nasconde la sua soddisfazione rendendosi conto di poter lucrare, ogni volta, un “nuovo prodigio”.
Così mi sono chiesto anch’io quale sia la mia “favola miracolosa”, ma non posso certo dire di averne una: forse perché sono tante e tutte assai preziose perché ascoltate e riascoltate dalla viva voce di persone care come la nonna Guglielma o la zia Michela; oggi tuttavia il mio pensiero non si distoglie da un capolavoro ricevuto in dono quando avevo solo 8 anni di età: “Le Avventure di Robinson Crusoe” dello scrittore Daniel De Foe.
Questo vecchio libro mi è tornato in mano casualmente circa un mese fa e le sue pagine ingiallite, i disegni essenziali e soprattutto la dedica autografa della mia insegnante di scuola elementare mi hanno fatto rammentare di averlo letto e riletto all’infinito: proprio come una fiaba incantevole: ricavandone ogni volta, con tanta commozione, un grande beneficio.
D’altro canto è giustificato ritenere che non siano sempre e solo le classiche favole ad assumere il ruolo di “maestre di vita” ma che lo siano anche, a maggior ragione, tutte le grandi opere di poesia e di prosa che la letteratura di ogni civiltà ci ha consegnato; si tratta certamente di favole più articolate e complesse, ma come non affidarsi al loro prodigioso potenziale?
A tale proposito, è quanto mai suggestivo che proprio in questi giorni sia uscito l’ultimo libro del professor D’Avenia con ben 24 capitoli dedicati all’Odissea; si intitola “Resisti, Cuore” ed è superfluo sottolineare che non si tratta dell’ennesimo, erudito commento all’opera di Omero come ci si potrebbe attendere, ma di una vera e propria guida illuminata per tutti coloro che nel presente, affrontano la quotidiana “Odissea” della vita. E colpisce molti che, nel sottotitolo, lo scrittore abbia voluto aggiungere: “L’arte di essere mortali”: proprio come Ulisse.
A conclusione del mio pensiero, voglio augurarmi che siano soprattutto i ragazzi ed i giovani a recuperare il “tesoro esistenziale” delle favole: cui attingere ogni volta che abbiano bisogno di “rifarsi il destino” e magari ricominciando a leggere quelle più antiche di Esopo.
Aldo Trotta