Ho sempre raccontato del mio grande e quasi spasmodico desiderio di trascorrere, dopo tanto tempo, i giorni di Natale a Capracotta, il paese in cui sono nato e vissuto fino all’adolescenza; ma questa mia speranza era rimasta a lungo delusa per diverse ragioni: specie, ma non solo, per la ricorrenza di gravi malattie in ambito familiare che, tra l’altro, mi avevano costretto a cambiare residenza.
Non posso certo dire di soffrire la solitudine reale perché, grazie a Dio, mi affiancano amorevolmente le mie due figlie con le loro famiglie, ma è comunque iniziata per me, a 80 anni, una nuova e non meno difficile stagione cui non mi sento preparato; del mio nucleo familiare di origine infatti, escludendo mia sorella Maria Cristina che vive nel Molise, sopravvivo solo io perché 4 anni fa è scomparso mio fratello Carlo e, durante l’estate scorsa, mia moglie Anna.
Ad ogni modo, nel dispiacere per questi gravi lutti, mi sono lasciato lusingare dalla prospettiva di poter finalmente assecondare l’anelito cui accennavo: sia pure essendomi convinto, a malincuore, che la “nostalgia” non è il rimpianto per un “luogo”, ma per un “tempo” ormai irrimediabilmente perduto; così sono stato a lungo combattuto tra la smania del “ritorno” e il timore di restare ancor più deluso muovendomi.
Alla fine, incredibile ma vero, ho deciso di raggiungere la mia vecchia casa accarezzando persino la speranza di un piccolo miracolo natalizio: che in effetti, del tutto imprevedibilmente, si è parzialmente realizzato.
S’intende che non potevo certo ritrovare l’atmosfera di quando ero bambino né, ancor meno, le tante persone che animavano quel mio “fiabesco mondo”: motivo per cui, inizialmente, ho vissuto momenti di sconforto e di nervosismo piuttosto che di serenità; ad esempio mi aveva immalinconito il fatto che, a causa dei cambiamenti climatici, anche in alta montagna non c’era un filo di neve e le temperature erano quasi primaverili; poco più tardi, invece, ero di nuovo felice sentendomi partecipe delle più belle tradizioni natalizie mirabilmente integrate, oltre tutto, nella modernità attuale.
Più evidenti, inoltre, di quanto potessi immaginare mi sono parse le conseguenze del grave “spopolamento” e forse, purtroppo, dell’eccessiva laicizzazione per cui, anche durante la santa Messa della notte di Natale, diversi dei banchi apparivano semivuoti; persino il rientro nella mia vecchia casa era stato inizialmente deludente perché sembrava spaventarmi il fatto che fossi tanto solo e che non si udisse alcunché: né da quelle stanze, un tempo echeggianti di festosi rumori né, tanto meno, dalla strada con pochissime finestre illuminate e tanti portoni malinconicamente…sbarrati.
È bastato poco, tuttavia, per ritrovare un po’ dello scenario così desiderato: grandissima, infatti, è stata la mia emozione durante la Celebrazione eucaristica notturna, mirabilmente accompagnata dalle commoventi melodie dell’antico organo; all’uscita, dopo gli affettuosi saluti e gli auguri scambiati sul sagrato anche con i pochi coetanei presenti, il mio sguardo è stato rapito dalla candida facciata della Chiesa illuminata dalla luna mentre io, davvero prodigiosamente, apparivo sereno e sorridente; di lì a poco ero nuovamente solo ed assorto a percorrere la gradinata, in dialetto “rufa”, che conduce alla mia casa: la stessa che avevo descritto come simbolo della “nostalgia”, mentre facevano rumore solo i miei passi sull’acciottolato.
Nei giorni successivi l’esperienza del silenzio ha continuato a caratterizzare le mie ore, tanto più recandomi spesso in visita al Cimitero; negli anni scorsi infatti, sarebbe stato inimmaginabile non incontrare nessuno durante il tragitto a piedi; perciò non ho potuto fare a meno di confidare per telefono alle mie figlie, felici peraltro del mio buon umore, questo pur relativo cruccio; mi è pervenuto così, del tutto inatteso, il commento della minore, Sara:
“Ricorda, papà, che a Capracotta anche il silenzio è prodigioso!”.
Ci ho riflettuto pensando che avesse proprio ragione e che io non possa non fare tesoro delle sue parole: convincendomi finalmente che è davvero impossibile ritornare in modo stabile a Capracotta; mi sforzerò infatti di armonizzare, nel mio pensiero e nel mio cuore, la “nostalgia per il luogo” con quella “per il tempo”; intanto resta immenso il debito di gratitudine per quell’amato paese in cui affondano le mie radici montanare e chissà che non sia proprio questo il più bel regalo di Natale per il 2023?
Avviandomi ora alla conclusione, mi è piaciuto replicare a mia figlia:
“Sono pienamente convinto che il silenzio di Capracotta sia davvero speciale; anzi, come nel titolo di una famosa canzone napoletana, che sia un “Silenzio cantatore” (o forse “incantatore”?”).
Sara è rimasta perplessa perché non conosceva questo antico, famoso brano con i versi di Libero Bovio e musica di Gaetano Lama; perciò, ricordando la sua storia, le ho pure confidato che, a farmelo tornare in mente, era stata proprio la “silenziosa luna” di Natale.
Mi sono commosso infine pensando che, in quella notte santa, nulla avrebbe potuto eguagliare la “voce del silenzio” e i suoi versi per esprimere il mio amore nei confronti di Capracotta:
…, dint’ ‘o silenzio,
silenzio cantatore,
nun te dico pparole d’ammore,
ma t’ ‘e ddice ‘o silenzio pe’ mme!
Aldo Trotta