Il giorno della Prima Comunione rimane indelebile nel cuore e nella mente di chi ha avuto la grazia di celebrarlo. Ieri come oggi la data era fissata il giorno di Pentecoste, come a voler mettere insieme il nutrimento del Pane di Vita (che è l’Eucarestia) e l’azione illuminante dello Spirito Santo nella vita dei piccoli comunicandi.
La preparazione remota era affidata alle suore del Preziosissimo Sangue, presenti a Capracotta già dalla fine del 1800. La preparazione prossima ad una suora, dotata di particolari qualità didattiche e pedagogiche, per coinvolgere i piccoli a questo evento così importante. I ragazzi della mia generazione ricordano con affetto e viva riconoscenza Suor Assunta Passa.
La mattina della festa, come è sottolineato dalla foto sfocata e a bassa risoluzione, il corteo dei ragazzi e delle ragazze, guidati da uno stendardo con due preziosi fiocchi, partiva dall’Asilo di Infanzia per raggiungere la Chiesa Madre pavesata a festa. Un canto ritmava i passi e accompagnava i cuori trepidanti: “Oh che giorno beato il Ciel ci ha dato/ Giorno di Paradiso tutto è sorriso”. Tutto, veramente, era un tripudio di gioia e di serenità, in famiglia, nel paese, tra vocianti ragazzi.
Il ricordo di quel giorno porta intatto il profumo dei tempi passati, che, come rivoli di acqua zampillati dalla oscura cavità della roccia, conservano il sapore e la freschezza. La memoria nasce dal cuore e parla al cuore nel suo armonico intreccio di innocenti attese, di piccole gioie, di trepide ansie, di sinceri propositi “di vivere e di essere buono”. In una società che inaridisce le sorgenti del nostro essere, il ricordo della Prima Comunione può far crescere l’anima e strapparla dalla “tirannia dell’avere”, per inserirla nella liberante dimensione del “gratuito”. È il miracolo della fede, una forza in più per vivere nei momenti oscuri dell’esistenza!
Durante il corteo un altro canto di Prima Comunione sottolineava l’umiltà e la richiesta di purificazione e di perdono per sentirsi degni di “mangiare il Corpo di Cristo”. “Perdono, mio Dio, perdono, pietà”. Il Pane Eucaristico, ricevuto come dono di Dio, richiama anche una delle più gentili consuetudini paesane: quella del “pane in prestito”.
Una volta, racconta Domenico D’Andrea nel libro “Storie capracottesi d’altri tempi”, si andava per pane in prestito dai parenti o dai vicini di casa. Delegati a questo compito erano i ragazzi. Con il “panone” avvolto in un tovagliolo sotto il braccio, staccavano spesso un po’ di crosta e se la cacciavano in bocca. Quando arrivavano a casa, il pane era tutto sfrangiato sull’orlo. Seguiva il rimprovera della mamma: “un altro po’ te lo mangiavi tutto per via”.
Questa consuetudine così ricca di significato umano e religioso era il simbolo di uno stile di vita comunitaria e di un modo di intendere e vivere le relazioni interpersonali con sincera e gratuita reciprocità.
Lo scambio del pane, prima il prestito poi la restituzione, esprimeva una forma umanissima di donazione reciproca, frutto di rispettosa vicinanza e di fiduciosa famigliarità. Mangiare il pane dei vicini, del grano della propria terra significava condividere momenti di fraternità e di prossimità, quasi gustando anche il sapore e la fragranza di un altro “Pane del cielo” che nutre chi “lo dona in prestito e chi lo riceve”.
Don Ninotto Di Lorenzo
Fonte: AA.VV., Capracotta 1888-1937: cinquant’anni di storia cittadina nelle foto del Cav. Giovanni Paglione, Associazione culturale Amici di Capracotta, Cicchetti, Isernia, 2014