Da “Casa Sanremo Writers 2024” alla Sala della Cultura del Comune di Capracotta. La scrittrice abruzzese Cesira Donatelli presenta domenica 11 agosto, alle ore 18.00, la raccolta di poesie “Nettare Di Luce” (Masciulli Edizioni). Nel volume, è presente anche una poesia su Capracotta. L’evento è organizzato dall’ETS “Amici di Capracotta APS” e rientra nel programma “Estate Capracottese 2024” della Pro Loco e del Comune di Capracotta. Pubblichiamo di seguito la prefazione della poetessa e artista Slobodanka Ciric.
Entrare nel mondo poetico di Cesira Donatelli è come osservare le geminidi che, dopo aver lasciato dietro di sé una scia luminosa, si posano dolcemente sulla terra per geminare i fiori delle parole. La poetessa stessa si definisce una geminide. E, dopo aver letto i suoi versi, oserei aggiungere che è una delle geminidi più brillanti apparse nello sciame meteorico delle parole poetiche che ci inondano continuamente, e delle quali solo poche riescono a stupirci ed entusiasmarci ancora come le sue.
Partiamo dalla Terra di Cesira. La terra, nei versi della poetessa, beneficia di una disseminazione testuale così pervasiva da poter essere definita come un vero e proprio leitmotiv. La terra è la partenza, la corsa, la vita. Già: la partenza, spesso forzata; la fuga davanti alle calamità naturali quale il terremoto di Gessopalena, o le moltissime invasioni che hanno raso al suolo borghi come quello di Pietransieri; ma anche la transumanza umana, dettata dal richiamo delle terre ricche che bramano a popoli affamati. Allora come ora.
La corsa per la sopravvivenza è ben conosciuta in una Terra Maestra, una Santa Terra che non lascia orfani, che è nutrice, ma anche cannibale, della propria prole: figli spesso ridotti a bestie da somma, come percepite ed immortalate crudamente da Patini (pittore abruzzese di fine Ottocento inizio Novecento) nella tavola intitolata, appunto, Bestie da somma.
Per fortuna, la vita trionfa sempre e comunque: perché, finché una terra è camminata, non si ferma: cammina anch’essa e vive!
E ancora terra, – proprio perché esige fatica e sudore, in quanto pietra dura – quella terra si erge in prossimità alla volta celeste che è la bocca del bacio. Un vero e proprio locus amenus, dove la natura è rigogliosa, incoronata dalle montagne abruzzesi, abbeverata nel fiume Sangro e orlata dal mare placido e pescoso. Scenari biblici di una terra promessa, in cui l’amore per le proprie radici si trasforma nel timoniere sicuro che conduce i pescherecci del mar nostro, nel vignaiolo che sorveglia le dolci colline che cullano l’uva, e dove verde foglia battezza tutti; ma anche nei frantoi che donano dorato e setoso olio. La terra di Cesira è la terra dove l’amore chiama a fare l’amore. Come la sua terra, anche la poetessa, sua parte integrante e pulsante, vuole essere vissuta, smarrire il respiro, aprire l’uscio dello stellato. Annida il suo Amato in sé, per conoscersi e per farsi crescere. Amato non chiede, Amata non questiona! Bambina-donna, donna-bambina, si concede all’Amato subito nuda, senza esitazione, nelle case degli avi, concepiti e nati – come il suo adorato padre – su letti ricavati dal fogliame del granturco. Nudiamoci come zolle, ci invita Cesira, maturiamo ad atti d’amore fino a scioglierci nel grido della fluidità del divino raggiunto. Non più bambina, rapita dalle bellezze della sua terra, ma donna feconda, quindi madre, figlia di donna madre terra – legata a lei dal cordone ombelicale che rifiuta di recidere, dal patto di sangue in cui si è vincolati al misterioso contatto, mai paralleli, – la semina di proprie parole e popola di propria prole, trasformandola in campi nuovi fecondati ad ogni passo, in terra placida ed ospitale, dove ogni giorno è il giorno del fratello senza dimora, accolto e nutrito sotto il proprio tetto. Stirpe antica, educazione abruzzese, figlio e madre, madre e figlio. L’un a garanzia del ruolo dell’altro.
I vostri figli non sono figli vostri… sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita, ammoniva il Profeta di Khalil Gibran. La poetessa è consapevole che una madre deve darsi, osservando in lacrime i figli planare e volare via. Si divincoleranno – sentenzia appaiata al filo d’erba – soffrendo la sete di luce e l’abbandono, che abbandono non è, ma solo la vita che di esseri umani fa strumento umano e celeste.
Di chi o di che cosa è lo strumento Cesira Donatelli, donna colpevole di non amare le catene? Della sua terra e dell’amore per la stessa, che guizza nelle ceste della raccolta? Dell’Amato a cui si offre, per riceverlo poi calda e ansimante? Del mondo in cui tutti sian macchiati d’una pece, come diceva Petrarca, e al quale lei fa eco accusando indossiamo gli altri per attraversar la pece!?
Dei figli che, forse, vorrebbe cingere ancora con il cordone ombelicale, o con il suo simbolo, la cinta, che aveva ricamato per sé di punto smerlo cernendo tessuti di perle?
Per Pseudo Dionigi l’Aeropagita (teologo e filosofo del V secolo) le cinture significano cura con cui le intelligenze celesti conservano i propri poteri genetici; il potere che hanno di raccogliersi e di unificare i propri poteri mentali ritirandosi in se stesse e ripiegandosi armoniosamente su di sé nel cerchio indefettibile della propria identità. Cesira Donatelli, intelligenza terrena con raro e celeste dono della poesia, è decisamente strumento di se stessa e del suo cerchio indefettibile, in cui racchiude il suo mondo reale e poetico; un mondo nel quale, se lo si guarda con attenzione, ci si rispecchia e ci si riconosce.
Slobodanka Ciric