La “carpia”, il muschio per il presepio a Capracotta

Il “grande presepe” del Natale 2024 a Capracotta

Ci siamo accorti tutti, da molto tempo, che il periodo natalizio sembra iniziare sempre più in anticipo, assecondando forse le pressanti esigenze del mondo economico e commerciale che purtroppo, per unanime giudizio, sono in contrasto con il significato storico e religioso della Natività; e tutto ciò, come molte altre cose, non fanno che accrescere in me la nostalgia del passato e, in particolare, degli anni infantili e giovanili vissuti a Capracotta. Ciò non toglie che anche noi, allora, anticipassimo di molto l’atmosfera natalizia non tanto e non solo per l’attesa spasmodica delle vacanze scolastiche, quanto e soprattutto per i preparativi che le festività ci richiedevano; uno di essi, che bisognava programmare in tempo, era di provvedere il “muschio” (la nostra carpìa) per il Presepio e c’era il rischio, allora molto temibile, che nevicasse abbondantemente prima di Natale rendendolo pressoché impossibile. Non esistevano, comunque, limitazioni per la sua raccolta, che invece mi risulta sia ora giustamente regolamentata, pur essendo convinto che in passato non recassimo tanto danno all’ambiente: specie per la grande estensione delle aree boscose nel nostro paese di montagna; diversi studi, peraltro, hanno confermato la funzione altamente ecologica del muschio, in grado di sequestrare nel terreno 6,43 miliardi di tonnellate di CO2 in più rispetto al suolo nudo.

Per noi c’era piuttosto la difficoltà di procurarci delle capienti ceste di vimini in cui collocare le zolle di muschio senza danneggiarle e ci ripensavo in questi giorni ricordando il termine comunemente utilizzato in paese per definire il “muschio” e cioè “carpìa”;mi sono anzi affrettato a verificarlo sul “Piccolo Dizionario del dialetto di Capracotta”. Scritto dagli amici Osman Antonio Di Lorenzo e Felice Dell’Armi nel 2011, ha attirato la mia curiosità un antico proverbio del nostro paese che dice così:

“Preta che ròciola ne mmètte carpìa”

ed è stato immediato il mio desiderio di rinverdire o, meglio, di accrescere le conoscenze su questa pianta così singolare, che tanto ci attirava in passato.

Ricominciando così dalla parola dialettale “carpìa”, ricordavo che esso deriva da quello scientifico di “Folia ostrya carpini” appartenente alla  classe “Musci” nella divisione “Bryophyta; essa è costituita da piccole piante erbacee perenni che crescono in abbondanza su tutti i tipi di terreno, sulla corteccia degli alberi e sulle rocce; e queste ultime, come sottolinea il proverbio citato, sono naturalmente quelle non superficiali, ancorate al terreno. È indispensabile infatti che esse, del tutto inamovibili dalla zona circostante gli alberi e le loro radici, consentano al muschio che le ricopre di diventare una grande spugna assorbente dell’umidità di cui ha estremo bisogno, unitamente ai sali minerali e ad altri nutrienti.

Nei luoghi ove si alternano periodi umidi e secchi inoltre, esso garantisce la sopravvivenza di molte specie animali, assicurando loro una sicura fonte di acqua, oltre a proteggere il terreno dalle piogge violente, limitando anche l’erosione del suolo; in tutta sincerità, mi sono pure cimentato nel tentativo di studiare le modalità di riproduzione di una pianta interessante come il muschio ma confesso, da profano assoluto, di essermi arreso alla complessità dei suoi meccanismi.

Perciò ho preferito, tanto più essendo ormai prossimo il Natale, rifugiarmi nella leggenda e non mi vergogno, ancora una volta, di tornare bambino; secondo la tradizione popolare:

    “alle tante varietà di muschio corrispondono altrettante meravigliose fanciulle-fate; descritte come bellissime, con occhi ridenti e luminosi e la pelle chiara, quasi diafana, indossano abiti verdi o marrone, intessuti con un magico filo di un colore simile a quello delle foglie o del tronco e sono, infine, assai riservate e invisibili agli occhi umani; sempre secondo la leggenda, la loro vita è legata all’albero su cui dimorano e le favole ci raccontano che le “Fanciulle del Muschio” si resero visibili agli occhi dei taglialegna ai quali chiesero che venisse lasciato in vita il loro albero: in caso contrario, sarebbero morte insieme a lui”.

Così, mentre si risveglia in me quella particolare nostalgia che da sempre caratterizza il periodo di Natale, mi commuove il ricordo del grande Presepio che, con il prezioso aiuto di papà Ottaviano, riuscivo ad allestire in casa; per quanto mi sforzi tuttavia, tanto più non disponendo di fotografie o di filmati, resta un po’ nebulosa nella mia memoria l’immagine di quelle montagne in miniatura, fatte con pezzi di legno e di radici ricoperte di muschio. A tale proposito, di una sola cosa non potrei essermi dimenticato e cioè che di questa magica pianta esisteva una varietà molto rara e pregiata di cui purtroppo non conosco il nome, ma che noi chiamavamo “a stelline” per le sue particolari, piccolissime foglie e per il sofficissimo manto erboso: era destinata, neanche a dirlo, alla capanna di Gesù Bambino.

Aldo Trotta