Nei giorni scorsi ho avuto la fortuna di vivere l’incontro particolarmente emozionante con un gruppo di colleghi, vecchi compagni conosciuti frequentando l’Università Cattolica del Sacro Cuore; essi avevano conseguito con me il diploma di laurea in Medicina e Chirurgia nei lontanissimi anni ’60 e insieme abbiamo partecipato, tra l’altro, al rito del Giubileo nella basilica di San Pietro, a Roma; sono quindi riaffiorati, nel ricordo i percorsi professionali di ognuno di noi, assai diversi tra loro a seconda delle discipline specialistiche e delle sedi in cui è trascorsa la nostra, ormai lunga vita. Abbiamo riconosciuto che nella maggior parte dei casi il comune denominatore è stato rappresentato dagli ospedali e non è stato casuale che una delle nostre colleghe, la cara Vera Spagnoli, ci abbia ringraziato e salutato inviandoci dei messaggi suggeriti da papa Francesco durante la sua degenza presso il “Policlinico Agostino Gemelli”.
Di questi ultimi mi piacerebbe fare un commento approfondito, ma non credo di averne la capacità; sono convinto, d’altro canto, che basti di uno solo di essi a farci comprendere quanto i luoghi di cura possano radicalmente modificare la nostra mentalità:
“La fragilità umana ha il potere di renderci più lucidi rispetto a ciò che dura e a ciò che passa, a ciò che fa vivere e a ciò che uccide”.
È un’espressione davvero molto incisiva, che riporta alle parole del compianto e valoroso chirurgo Gino Strada, fondatore di “Emergency”; che sono tratte dal libro intitolato “Una persona alla volta”:
“Qual è il senso della guerra se si dichiara spesso di combattere contro dittatori e terroristi e poi il risultato finale è che nove volte su dieci è un civile a perdere la vita? Quale medico prescriverebbe un farmaco che nove volte su dieci uccide il paziente? In un ospedale quel farmaco verrebbe proibito, e chi si ostinasse a somministrarlo sarebbe denunciato”
“È possibile un mondo senza guerra? La guerra c’è sempre stata, risponde qualcuno, ma il fatto che la storia sia stata segnata da innumerevoli conflitti non dimostra che essi siano inevitabili, né che un mondo senza guerre sia destinato a rimanere un sogno. Possiamo parlarne come di un’utopia; si usa spesso questo termine con un tono di sufficienza, come si fa con i sognatori o con i mezzi matti, ma utopia non è il nome dell’assurdo; utopia, al contrario, è il nome di desideri, idee, progetti che possono diventare realtà”.
E fa riflettere la famosa opera del pittore fiammingo Peter Paul Rubens (foto in basso, ndr), dedicata agli effetti distruttivi dei conflitti; si tratta, come è noto, di un quadro allegorico che rappresenta a sinistra l’Europa che invoca dal Cielo la Pace, al Centro la dea Venere che inutilmente cerca di impedire a Marte di lanciarsi in battaglia e a destra le catastrofiche conseguenze della guerra.
Personalmente, sono sempre rimasto colpito dallo sforzo di tanti eroici ricercatori e dal sacrificio di coloro che si sono adoperati per conseguire, negli anni, un pur piccolo risultato nella lotta contro malattie devastanti: per poi ascoltare ogni giorno le cronache di guerra che informano di centinaia e centinaia di persone uccise dai bombardamenti, a cominciare dai bambini; perciò, a diversi anni ormai dalla sua scomparsa, sono davvero sconvolgenti le testimonianze di Gino Strada che riporta, tra l’altro, una massima attribuita all’umanista e filosofo Erasmo da Rotterdam:
“La guerra piace a chi non la conosce!”
e risuonano quanto mai attuali le sue appassionate esortazioni:
“Eliminare l’ipotesi della guerra dagli strumenti che regolano la convivenza umana è la scelta più razionale, realistica e sicura per tutti i cittadini, ma non possiamo aspettarci che lo facciano i Parlamenti del mondo, che hanno sempre e comunque votato a favore della guerra; dovremo impegnarci noi in prima persona per buttare la guerra fuori dalla storia”.
Non c’è grande differenza, mi pare, rispetto al pensiero di Papa Francesco che, non temendo di essere considerato “mezzo matto”, ha continuato a gridarci dall’ospedale:
“Dobbiamo disarmare le parole, per
disarmare le menti e disarmare la Terra”.
Perciò, sostenuto dal suo accorato appello anch’io, nel mio piccolo, mi lascio sedurre da un’utopia ancor più dirompente; se dipendesse da me, infatti, arriverei a prevedere come requisito imprescindibile per qualsiasi incarico politico un periodo di internato, da semplice osservatore, in un ospedale: anche lontano, speriamo, dai teatri di guerra. Mi piace credere, infatti che, dopo un’esperienza di questo genere, si ridurrebbe drasticamente il numero di coloro che restano favorevoli all’impiego della lotta armata, in altri termini dei tanti, moderni “guerrafondai”; mi distraggo ora un attimo da questi pensieri affacciandomi alla finestra e mi sorprende, come ogni anno, la fioritura delle piante e con essa l’esplosione improvvisa della primavera.
Ripenso perciò all’antico proverbio che dice:
“Per San Benedetto, la rondine sotto il tetto”
e mi torna in mente l’utopia teorizzata da Gianni Rodari nella sua poesia intitolata “21 marzo”:
“La prima rondine
venne iersera
a dirmi: “È prossima
la Primavera!
Ridon le primule
nel prato, gialle,
e ho visto, credimi,
già tre farfalle”.
Accarezzandola
così le ho detto:
“Sì è tempo, rondine,
vola sul tetto!
Ma perché agli uomini
ritorni in viso
come nei teneri
prati il sorriso
un’altra rondine
deve tornare
dal lungo esilio,
di là dal mare.
La Pace, o rondine,
che voli a sera!Essa è per gli uomini
la Primavera”.
È proprio così, la Primavera più bella per gli uomini e per il mondo intero sarebbe la Pace che per troppo tempo abbiamo esiliato dalle nostre coscienze; molti, purtroppo, continueranno a considerarla una puerile utopia, ma non dimentichiamo che spetterebbe a tutti noi trasformarla in realtà.
Aldo Trotta