Su gentile concessione del quotidiano indipendente on line Lettera 43, pubblichiamo l’intervista di Dario Colombo al capracottese Pierino Campana, amico di vecchia data di Papa Francesco.
A Buenos Aires qualcuno li ricorda ancora.
Negli Anni 50-60 quelli che si vedevano spesso passeggiare nei barrios della città erano due 20enni pieni di vita e pronti a tutto.
Stavano sempre insieme, Pierino Campana e Jorge Mario Bergoglio. Uno era partito dal Molise per sbarcare in Argentina. L’altro nel Paese sudamericano ci era nato, ma era pur sempre il figlio di emigranti e frequentava la comunità italiana di Baires.
ORIGINARI DEL PIEMONTE. D’altra parte per mamma Regina Maria e papà Mario, originari del Piemonte, era difficile voltare le spalle alla terra abbandonata negli Anni 30. E così anche Jorge Mario, futuro papa Francesco, cresceva a contatto con gli altri italiani della città.
Tra questi c’era pure Pierino Campana. A 19 anni aveva lasciato Capracotta, piccolo Comune molisano, seguendo i genitori.
AL LAVORO COME CONTABILE. «Io e Jorge Mario eravamo amici», svela aLettera43.it Campana.
A distanza di oltre mezzo secolo non dimentica quel giovane che poco più che adolescente lavorava nell’azienda di cravatte di suo padre. E che nel 2013 sarebbe diventato pontefice.
«Per me lui è semplicemente Giorgetto, un contabile tutto pasta e fagioli», scherza Pierino nel giorno del compleanno di Francesco che il 17 dicembre fa 78 anni
UNA TELEFONATA AL MESE. Oggi la vita li ha separati: Campana è rimasto in Argentina e gestisce una fabbrica di costumi da bagno; Jorge Mario si è dovuto trasferire a Roma. Eppure ancora oggi, nonostante gli impegni e la distanza continuano a sentirsi.
«Ci telefoniamo almeno una volta al mese», spiega Campana, restato l’amico d’infanzia del gesuita diventato papa.
Il cui destino era chiaro a tutti: «Mia madre la prima volta che lo vide gli disse: ‘Tu sei papabile’».
DOMANDA. Sua madre aveva già capito tutto?
RISPOSTA. Gli disse così perché era davvero un bravo ragazzo.
D. E il papa come reagì?
R. Si mise a ridere. All’epoca non pensava neanche di farsi prete, figuriamoci di diventare pontefice.
D. Come vi siete conosciuti?
R. L’ho incontrato grazie alla comunità italiana a Buenos Aires. Negli Anni 50 era impossibile non conoscere un altro migrante.
D. Lei come ci è arrivato in Argentina?
R. Con la mia famiglia ho lasciato Capracotta nel 1955. Era dura vivere nel Centro Italia nel Dopoguerra.
D. Una volta arrivato a Baires, però, suo padre fece in fretta a riprendersi.
R. Aveva una fabbrica di cravatte, dove lavoravano anche diversi contabili. E uno di questi era proprio Bergoglio.
D. Sul papa si dice che abbia fatto le pulizie in una fabbrica e il ‘buttafuori’ in un locale, ma mai che sia stato contabile.
R. Eppure lo fece, anche se per meno di un anno. Perché poi andò in seminario.
D. Quindi fu grazie a suo padre che conobbe Bergoglio?
R. Sì, sul lavoro siamo diventati amici. Ma lo siamo ancora oggi.
D. Com’era il papa da giovane?
R. Un ragazzo in gamba, rispettoso. Qui in Argentina lo definiremmo cauteloso, prudente insomma.
D. Vi frequentavate anche dopo il lavoro?
R. Veniva a mangiare da noi. Andava pazzo per la pasta e fagioli che gli faceva mia madre, ma anche per le fettuccine fatte in casa e le tacconelle (piatto tipico molisano, ndr).
D. E anche lei andava a trovarlo?
R. Certo, conoscevo tutta la famiglia. Erano molto legati al Piemonte e mi offrivano sempre bagna cauda e polenta con le salsicce.
D. Com’era la casa del futuro papa?
R. Era molto grande: circa 200 metri quadri con tante stanze e due bagni nell’Est di Buenos Aires. Stavano bene anche se non navigavano nell’oro.
D. Come parlavate tra voi?
R. In italiano, lui per me era Giorgetto. In casa parlava piemontese. Come tutti i migranti cercava di ricordare le sue origini.
D. Avrà quindi conosciuto anche la ‘fidanzata’ del papa, la famosa Amalia di cui s’è tanto parlato dopo l’elezione di Bergoglio.
R. La conosco tuttora, siamo rimasti amici anche con lei.
D. Erano innamorati?
R. Era solo un’amicizia di gioventù, niente di più.
D. Poi il giovane che sarebbe diventato pontefice scelse il seminario. Lei come prese la decisione?
R. All’inizio mi dispiacque, ma lo vedevo contento. Non ho mai pensato di perdere un amico, anche se non è stato facile separarsi.
D. Però non vi siete persi di vista.
R. Abbiamo continuato a vederci e a sentirci. Anche dopo che è diventato papa.
D. Insomma, non si è dimenticato di un amico.
R. Almeno una volta al mese ci telefoniamo e lui non si scorda mai di chiedermi come stanno i miei cinque figli e otto nipoti.
D. L’ultima volta che l’ha visto?
R. Nel 2012 a una cena del club Rotary di cui faccio parte. Parlava con tutti, è sempre stato molto interessato ai fatti che accadono nel mondo.
D. Crede che Bergoglio abbia avuto qualche dubbio sul suo percorso mistico?
R. Non mi ha mai parlato di ripensamenti. L’ho sempre visto sereno e convinto sotto questo aspetto.
D. In passato si è detto che il pontefice non sia stato molto bene di salute. Lei che lo sente spesso, cosa pensa?
R. Figuriamoci se sta male, ha una potenza straordinaria.
D. Tutti i problemi che il pontefice ha in Vaticano forse lo stanno debilitando?
R. Quello che sta facendo alla Chiesa è solo l’inizio.
Dario Colombo