Capracotta, durante i suoi 1250 anni di vita nel bene e/o nel male, ha dovuto ringraziare il Fuoco per la sua sopravvivenza e a volte ha dovuto anche maledirlo per le tragedie che fu costretto a subire.
Il nostro Paese fu fondato intorno al 750 e abitato per più di tre secoli dai Longobardi che, prima della conversione, utilizzavano il fuoco nei loro riti pagani e sicuramente lo stemma comunale che presenta una capra con le fiamme ha le origini di quel tempo. Nel 1656 per la sua sopravvivenza ha dovuto usare il fuoco per bruciare vestiti e persone morte per la Peste e tra l’8-12 novembre del 1943 l’ha maledetto per l’uso che ne fecero i tedeschi nel bruciarLo con bombe incendiarie e dinamite.
L’agricoltura che si praticava a Capracotta era di sussistenza, ovvero di autoconsumo; lo scopo era quello di ottenere cibo sufficiente per sfamare i membri della famiglia contadina, si consumava ciò che si produceva o allevava, non si produceva per vendere ma per alimentarsi e l’intera famiglia era coinvolta nel duro lavoro di produzione e se il raccolto andava perso era la carestia, la fame! Il grano, le patate e legumi erano le colture praticate ma meno redditizi per il clima e terreno montano e negli anni ‘50 Capracotta con i suoi 3000 abitanti era al limite della sua autosufficienza alimentare (per questo motivo il Lago di Mingaccio venne prosciugato!) e bastava un evento calamitoso per portare nella più cupa disperazione il nucleo familiare ed è quello che accadde intorno agli anni 30 e nel 1957: l’incendio dei covoni.
A Capracotta negli anni ’50 c’erano quattro siti di raccolta dei covoni, si produceva tanto grano, c’erano tre forni e tre mulini, quasi tutti i terreni erano coltivati ed era uno spettacolo vedere il territorio di Capracotta coperto da una miriadi di fazzoletti che alternavano il loro colore: giallo, verde, blu, giallo-verde, giallo mischiato con il rosso, non come adesso che i due colori base sono il verde e il marrone! I grandi cumuli di covoni ben squadrati, ordinati e coperti con grandi teli “i copertoni” venivano sorvegliati attentamente a turno notte e giorno per prevenire “accidentali prelievi”.
Di fronte all’attuale Caserma dei Carabinieri si trovava uno di questi siti e verso mezzogiorno, quando la sorveglianza si allentava per il pranzo quotidiano, scoppiò un furioso incendio che alimentato da un leggero vento distrusse nel giro di poche ore il sacrificio di un anno di duro lavoro. La mancanza d’acqua e di persone furono i motivi per cui poco si salvò e la motopompa arrivò nel tardi pomeriggio quando ormai non c’era più nulla da fare! La disperazione di chi aveva perso tutto il raccolto era tangibile e la si notava negli occhi pieni di lacrime e dai capelli che le donne si strappavano, ma c’erano anche chi con grande slancio di umanità e di coraggio cercava di rincuorare gli sventurati che già presagivano il crudele destino che si era abbattuto sulla propria famiglia.
Ma come sempre, il popolo capracottese dette sfoggio al suo innato senso di solidarietà umana, tutto il grano bruciato fu reintegrato da quelli che erano stati più fortunati alla stregua di quello che successe durante la distruzione di Capracotta: quasi un migliaio di persone furono ospitate nelle masserie di Guastra e di Macchia senza contropartita! Si può ben dire che, se il fuoco distruggeva, la solidarietà umana ricompattava persone e famiglie! Non si è mai riuscito a capire le cause dell’incendio si suppose che fosse stato un anziano appisolato con la pipa in bocca, non è da escludere la cosa perché a Capracotta si fumava tanto, c’erano quattro tabaccai!
Filippo Di Tella