Subito dopo lo scoppio del primo conflitto mondiale, sei dei sette nipoti di Giuseppe Garibaldi (Peppino, Sante, Costante, Bruno, Ricciotti Jr, Ezio), in giro per il mondo e richiamati dal padre Ricciotti, inquadrati nel 1° RGT della legione Straniera francese ed al comando del più anziano di essi, Peppino, costituirono la “Legione garibaldina” composta da duemila volontari che si distinsero per coraggio ed abnegazione sul fronte delle Argonne. Sotto l’uniforme francese indossavano la famosa “camicia rossa” dei garibaldini. Fu proprio a causa di questa che il 26/12/1915 Bruno perse la vita; aperta la giacca di fronte al nemico si rese facilmente visibile e fu colpito. A distanza di pochi giorni, il 5/1/2016, la stessa sorte toccò al fratello Costante.
La Legione, che aveva perso oltre un quarto degli effettivi, fu sciolta il 7/3/2015. Molti di essi si arruolarono poi nell’Esercito italiano al momento dell’entrata in guerra del nostro Paese, tornando a combattere successivamente in Francia con la “Brigata Alpi” inquadrata nel II corpo d’Armata.
All’indomani di Caporetto infatti, gli alleati Francesi e Inglesi, che avevano già mandato divisioni sul fronte italiano, chiesero che anche gli Italiani facessero altrettanto in appoggio alle truppe alleate sul fronte franco-tedesco occidentale. L’unità prescelta dal comando supremo italiano fu il II Corpo d‘Armata (comandato del Ten. Generale Albricci) già impegnato dall’Isonzo al Piave e al momento in riserva per le gravi perdite subite. Venne così costituita una Grande Unità comprendente: la III DIVISIONE composta dalla Brigata «Napoli» (75° e 76° RGT Fanteria), dalla Brigata «Salerno» (89° e 90° RGT Fanteria) e dal 10° Artiglieria; l’VIII DIVISIONE formata dal 4° Artiglieria, dalla Brigata «Brescia» (19° e 20° RGT Fanteria) e dalla Brigata «Alpi» (51° e 52° RGT Fanteria).
Nella Brigata “Alpi”, che era l’erede degli antichi “Cacciatori delle Alpi” di Garibaldi, si erano arruolati anche i 4 nipoti superstiti di Giuseppe Garibaldi (Peppino, Ricciotti, Sante ed Ezio) e tanti altri giovani volontari, tra cui Kurt Erich Sukert, divenuto poi famoso con lo pseudonimo di “Curzio Malaparte”, nato a Prato nel 1898 da padre di origine tedesca e madre italiana. Complessivamente il contingente militare italiano era di oltre 25.000 uomini.
Contemporaneamente al II° Corpo d’Armata furono inviati in Francia circa 80.000 lavoratori militari e militarizzati per far fronte alla crisi di mano d’opera creatasi a seguito della chiamata alle armi di tutti gli uomini validi. Questi lavoratori (Truppe Ausiliarie Italiane in Francia), già provati sui campi di battaglia italiani, lasceranno poi nei cimiteri francesi vari caduti.
Il 27 maggio 1918, con un attacco a sorpresa, l’esercito tedesco aveva sfondato il fronte francese nei pressi di Reims. L’esercito tedesco era giunto a meno di 100 Km da Parigi. Il II° Corpo d’Armata italiano, quindi, fu destinato a presidiare questo fronte e, all’altezza di Bligny, aveva il compito di sbarrare la valle del fiume Ardre.
La vallata era delimitata da una parte dal Bosco de Vrigny, dall’altra dal Bosco des Eclisses (detta anche “Montagna di Bligny”) e dal Bosco de Courton. La “Montagna di Bligny” era considerato un caposaldo che doveva essere difeso fino all’ultimo uomo.
Nella notte tra il 14 e 15 luglio ebbe inizio la storica “Seconda Battaglia della Marna” detta anche “Battaglia di Bligny”. Subito dopo la mezzanotte le artiglierie tedesche aprirono un violentissimo fuoco sull’intero fronte occupato della Brigata “Alpi”; ed all’alba del 15 luglio le truppe d’assalto tedesche attaccarono anche con carri armati la montagna di Bligny. I nostri soldati, seppure ormai decimati, riuscirono a rallentare l’avanzata nemica, incendiando il bosco e combattendo tra le fiamme.
Curzio Malaparte, testimone oculare, sottotenente degli arditi e volontario, così descrisse quell’attacco notturno del 14 luglio: «Nulla potrà mai superare in orrore quel bombardamento. Fu un massacro. Seduti sull’erba, le spalle appoggiate ai tronchi degli alberi, in un terreno senza trincee, senza camminamenti, senza ricoveri, ci facemmo ammazzare allo scoperto, fumando una sigaretta dopo l’altra».
Giuseppe Ungaretti, giovane ufficiale in trincea nel bosco di Courton, scrisse in quei giorni una delle sue liriche più famose: «Soldati: Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie»!
Al terzo giorno di combattimento i reparti italiani furono protagonisti di una giornata eroica. Di questa azione abbiamo la cronaca di Malaparte che presente sul posto, 20 anni più tardi scrisse sul Corriere della Sera: «a Bligny, ormai tutto il bosco era pieno di migliaia di morti e di feriti, ed eravamo rimasti senz’acqua, senza pane, senza cartucce, senza bombe a mano, senza mitragliatrici (…) il nemico tornò per la ventesima volta all’assalto con le sue tanks e i suoi lanciafiamme, e tutti quei matti gli si buttarono addosso, vociando e sghignazzando. S’udivano tra gli alberi, nell’immenso bosco pieno di fumo, urli di feriti e scoppi di risa, voci terribili e strane. E in realtà il nemico fu fermato a Bligny, non dal fuoco delle nostre poche mitragliatrici e dei scarsi cannoni, ma dalla meravigliosa pazzia di quei contadini dell’Umbria».
Fermando l’avanzata tedesca i fanti italiani assolsero con immenso sacrificio il loro compito anche se gravissimo fu il bilancio; la Seconda Battaglia della Marna (Battaglia di Bligny) significò l’inizio della fine dell’esercito germanico. Infatti la mattina seguente, 18 luglio, il Comando Supremo francese dava il via alla controffensiva che avrebbe portato alla resa tedesca quattro mesi più tardi, l’111 novembre. Per gli italiani il fronte francese rappresentò un vero massacro: in poco più di sei mesi tra i 25.000 combattenti le perdite furono di 9.334 uomini dei quali circa 5.000 caduti e oltre 4.000 feriti.
Alle perdite ed alle sofferenze già subite si aggiunse in quel periodo sulle truppe dei vari fronti, e di tutti gli schieramenti, un altro implacabile ed imparziale nemico: l’influenza, la famigerata Spagnola. La devastante pandemia infuriò da marzo 1918 al giugno 1920, contagiò circa 500 milioni di persone (il 30% della popolazione mondiale che allora era 1 miliardo e 600 milioni) e ne uccise oltre 50 milioni. Molte furono le vittime fra i militari degli opposti schieramenti, giovani esposti a condizioni igienico sanitarie disastrose, intemperie, privazioni e fuoco nemico.
Mi raccontava sempre mio padre Francesco Di Nardo (Cicciotto), giovane ventenne, sergente di fanteria dell’88° Rgt, Fanteria giunto a Bligny con il contingente TAIF il 2 giugno 1918 (44a COMPAGNIA, 5° Nucleo, 1° Raggruppamento, aggregato alla Brigata Napoli) poco più di un mese prima della battaglia della Marna, colpito dall’influenza nel 1919, di cui portava ancora evidenti i segni pleuropolmonari, che i soldati ricoverati nell’infermeria da campo temevano a tal punto l’arrivo della notte da tenere aperte le palpebre con pezzetti di legno, simili a stuzzicadenti, per paura di non risvegliarsi al mattino. In fondo erano ancora dei ragazzini, strappati alle famiglie, travolti da accadimenti mostruosi molto più grandi di loro; eppure seppero rialzarsi e dare il loro indispensabile contributo alla ripresa del paese. Quando nel 1919, dopo una breve attenuazione e un ultimo colpo di coda l’epidemia cessò definitivamente, si contarono in tutto il mondo molti più morti di quanti ne avesse fatto la grande guerra!
Del II Corpo d’armata italiano in Francia rimane il cimitero Militare di Bligny, ben tenuto, su un’ampia superficie in cima alla collina che sovrasta l’omonimo paese. Il luogo sacro sorge su un’area che il governo francese donò perennemente all’Italia; qui riposano le salme di 3054 caduti noti e 1360 ignoti su complessivi 5418 caduti italiani.
Vincenzino Di Nardo