I costumi di Rocca Luparella sono singolari. Il cane che in inverno conduce la slitta della posta alla ferrovia, a tre leghe dal paese, un enorme molosso, più grande dei lupi che si aggirano per queste campagne, ha avuto una donna per balia. Il contrario della favola di Romolo e Remo. Questo fatto non suscita alcuna sorpresa: corrisponde ad un uso locale.
Ieri osservavo, con un cannocchiale che mi hanno prestato, le navi dell’Adriatico. A 1400 metri di altezza, lo sguardo porta lontano. Si scopre il mare; con un tempo senza sole e senza nebbie, dalla piccola villa comunale, aggrappata al bordo dell’abisso sul quale si staglia la cittadina, il cui posto, come spesso in Italia, sembra doversi preparare alla difesa.
Dal fondo della valle, il Sangro precipita verso la macchia verde dove inizia la parte a oriente, le cui acque ghiacciate e schiumanti si infrangono contro le rocce che sono poste a riva. Dietro il suo corso stretto, la catena dei monti deserti, sviluppa in maniera torrentizia più del fiume, un’ampia cavalcata di luce: la guerra e la pace ispirano il suo movimento e la sua serenità.
Gli alti Appennini, per il colore e la varietà delle loro tinte, prevalgono singolarmente sulla bellezza delle Alpi. Sotto le lunghe nubi bianche che si infrangono al lato dei picchi violetti, un ricordo unico qui, delle strade bianche, il cui gesto benedetto, dei blocchi qua e là o dei neri vortici di pietra, insurrezione del regno minerale, arene demoniache per il duello degli uragani, troni di sovversioni notturne e divorate da silenzio, qualche villaggio contratto, cicli di umanità perduta, di cui ragionano mandrie come una stella smarrite, propagano nella solitudine dell’estate, non si sa quale anima derelitta, la cui tenerezza pertanto, come l’Orfeo di M.me Guyon, non sarebbe escluso.
Sono seduto, le gambe sulla voragine, tra le belle donne che mi circondano con i loro ombrelli. Il giardiniere del municipio soddisfa infine la sua curiosità. Da dove viene? – mi chiede. Dalla Francia – rispondo – tenendo conto che lui ignori la Vallonia e dando un senso alla Chanson de Roland. Ma non avevo considerato in pieno la sua ignoranza geografica. Dov’è la Francia? – rispose dopo un pò. Non mi dispiace spiegare. Ma come si fa a una persona che non si capacita, dire dove si trova la Francia? E’ lontano, risposi evasivamente. Egli insistette: – Quanto ci vuole per arrivarci col treno? – Due giorni. – Due giorni! Era atterrito. Mai, sebbene il villaggio e la provincia siano piene di “Americani” rientrati dall’emigrazione, il mondo gli era parso così grande!
Christian Beck, Le Papillon: journal d’un romantique, pag.59
Edizioni Zellige, Parigi, 2012
Traduzione: Paolo Trotta
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