Thor vola con le sue capre su Capracotta. Fotocomposizione su foto di Gianni Ruffo (2019)
L’immolazione di una testa di capra, una danza vorticosa, l’intonazione di un canto sacro e un banchetto rituale nel quale vengono divorate le carni dell’animale sacrificato. Potrebbe essere stato questo il rito di fondazione di Capracotta celebrato da parte di un gruppo di conquistatori Longobardi sulle alture della Terra Vecchia in un anno imprecisato dei primi secoli dell’Alto Medioevo. Il rinnovato interesse degli studiosi verso questa popolazione scandinava, che negli ultimi tempi si è concretizzato nella proliferazione di pubblicazioni scientifiche e nell’organizzazione di importanti mostre di respiro internazionale, ha ampliato il quadro generale delle conoscenze sugli uomini dalle lunghe barbe e, nel nostro caso, ci consente di avanzare alcune ipotesi sulla storia più antica e oscura della nostra cittadina: quella delle sue origini.
Partiamo dal nome. Il termine “Capracotta” richiama espressamente uno dei riti più importanti della religiosità pagana dei Longobardi in onore di Thor, il dio del tuono. Thor era una divinità molto amata dai popoli scandinavi: fortissima, dalla barba rossa, dall’appetito prodigioso, proteggeva l’assemblea del popolo in armi e si spostava su un carro trainato da due capre, suoi animali sacri. I Longobardi lo veneravano attraverso una pratica religiosa che aveva per protagonista proprio la capra. La cerimonia prevedeva l’immolazione di una testa di quest’animale (caprae caput), seguita da una danza vorticosa, dall’intonazione di un canto sacro e da un banchetto rituale nel quale venivano divorate le carni cotte della vittima. Era un rito propiziatorio che si svolgeva al momento di piantar tende in un luogo appena conquistato per scongiurare il rischio di esaurimento delle fonti di sostentamento del gruppo tribale che, diventando stanziale, si faceva comunità. Infatti, esso affonda le sue radici nel mito narrato nel testo medievale Gylfaginningin: il dio Thor sfama se stesso e i compagni con le capre del suo carro di cui fa conservare le ossa e le pelli; poi, la mattina seguente, consacra queste ultime con il suo potente martello e resuscita gli animali.
Oggi, siamo in grado anche di avanzare una datazione, seppure molto approssimativa, della cerimonia e azzardare un possibile scenario sulla base di dati di carattere più generale. Dovremmo trovarci negli ultimi anni del VI secolo. Nella primavera del 568 d.C. il re Alboino guida i Longobardi e altri popoli del bacino del Danubio alla conquista della nostra Penisola. L’impresa si dimostra più facile del previsto: l’Italia è allo stremo dopo diciotto lunghi anni di guerra tra Ostrogoti e Bizantini. Una dopo l’altra cadono tutte le città dell’Italia settentrionale e della Tuscia. Due anni più tardi, il duca Faroaldo si spinge nell’Italia centrale e fonda il Ducato di Spoleto mentre il duca Zottone si insedia nel Sannio e crea il Ducato di Benevento. Negli anni successivi, il confine dello Stato beneventano viene ampliato. La penetrazione avviene attraverso i fondovalle dei fiumi: in un territorio prevalentemente montuoso, le valli dei corsi d’acqua sono le vie di collegamento migliori per spostare rapidamente gruppi di guerrieri.
Per quanto riguarda l’Alto Molise, le schiere longobarde partono dalla capitale e, seguendo il Calore e poi il Volturno in direzione Nord-Ovest, conquistano Telese, Caiazzo e Alife. Tra il 590 e il 595 circa, strappano ai Bizantini le città di Venafro e Isernia, aprendosi la strada per l’espansione a Nord-Est: a settentrione, raggiungono la valle del Sangro, Alfedena e Sulmona; a oriente, invece, lungo il Trigno, sottomettono Trivento e, lungo il Biferno, Larino e Termoli dilagando nel Chetino. Durante la conquista, Zottone e i suoi successori occupano gli insediamenti militari bizantini e ne costruiscono altri nei punti strategici. Le alture della Terra Vecchia saranno apparse un luogo ideale per l’insediamento di una piccola guarnigione vista l’alta posizione strategica a cavallo dei bacini del Trigno e del Sangro. È possibile che il rito si sia consumato laddove oggi si trova la chiesa Madre, secondo una tendenza molto marcata nel medioevo da parte della Chiesa di Roma di “cristianizzare” i luoghi di culto del paganesimo, sia romano sia barbarico. La penetrazione longobarda è essenzialmente un’occupazione politico-militare del territorio. Soltanto successivamente con i Normanni essa si caratterizzerà in chiave feudale. Nel territorio di Capracotta e nelle sue immediate vicinanze, possiamo ancora oggi riscontrare alcune persistenze dell’occupazione militare longobarda. Innanzitutto, la denominazione della contrada “Le Guastre” sembra potersi ricondurre al longobardo “Waldstall” e testimonia la presenza di posti di guardia in una zona al confine tra il territorio di Capracotta e quello del Comune di Agnone. Un altro “longobardismo” è il “Bosco Cerritello”, situato al confine tra Castel del Giudice e la pineta di San Giovanni. Un’interessante ricerca del compianto Luigi Cerritelli, un docente universitario residente nel Bresciano ma nativo di Chieti e con origini capracottesi per parte della famiglia materna (Del Castello), ha evidenziato che i Cerritelli erano mercenari della Colchide (l’odierna Georgia) che avevano seguito i Longobardi nell’invasione dell’Italia. Hanno lasciato numerose tracce della loro presenza nella toponomastica delle regioni della nostra Penisola conquistate dal popolo dalle lunghe barbe: Calabria, Umbria e Lombardia. Anche la località “Staffoli” ha origini longobarde: il termine (Staffal) indicava un’area di confine. Secondo una certa tradizione, pure “Agnone” sarebbe collegabile ai Longobardi: deriverebbe dalla parola latina “Anguonum”, serpente, un altro animale sacro a quella popolazione.
Inoltre, va sottolineato un altro elemento che contribuisce a dare forza a questa ipotesi: la denominazione “Capracotta” non è esclusiva del nostro abitato. C’è una “Capracotta” in Toscana, un’altra in Umbria e un’altra ancora, ma al plurale, a Darfo Boario Terme in provincia di Brescia. Nel primo caso si tratta di un’ampia campagna immersa tra le colline verdeggianti del Comune di Roccastrada (Grosseto). Nel secondo, invece, di un piccolissimo centro abitato situato nella frazione di Morcella (Vocabolo Capracotta: il termine “vocabolo” in Umbria indica la più piccola unità insediativa possibile, più piccola di una frazione) nel Comune di Marsciano (Pg). Nel terzo caso, infine, si tratta di una valle in Val Camonica. L’unico elemento che lega questi tre punti geografici del nostro Paese con la nostra Capracotta è probabilmente la dominazione longobarda attestata in tutte e quattro le latitudini.
In età longobarda, il territorio di Capracotta rientra nel gastaldato di Trivento secondo il modello della vecchia organizzazione territoriale romana. Nel corso del tempo, l’abitato si trasforma da un villaggio composto da poche abitazioni costruite in pietra con tetto in legno e chiuso da una palizzata in un centro fortificato, stretto intorno alla propria chiesa secondo un impianto radiale facilmente ravvisabile nelle mappe topografiche della nostra cittadina precedenti alle distruzioni della Seconda guerra mondiale. Intorno all’anno Mille, Capracotta è una delle pertinenze di Agnone sotto il dominio dei Borrello, una famiglia che era riuscita a creare un vasto dominio feudale tra il Molise e il Chetino, corrispondente grossomodo all’attuale Diocesi di Trivento. Risale al periodo longobardo anche la prima attestazione del nome in un documento ufficiale. Nel 1040, Gualtiero Borrello, signore di Agnone, dona al monastero benedettino di San Pietro Avellana tutta la montagna di Vallesorda con la sua chiesa di San Nicola e tutto il Monte Capraro con l’eremo di San Giovanni Battista, quindi l’agro compreso nel versante settentrionale dei due rilievi fin sotto Capracotta, che viene esclusa dalla donazione, e fino alle sorgenti del Verrino. Quest’atto legale contiene utili informazioni: l’esistenza di un mulino alla Spogna, indizio certo di vicina popolazione, e di un confine tra il territorio di Capracotta e quello di San pietro Avellana. Un altro documento, più o meno dello stesso periodo, fa cenno anche a un confine verso Agnone, a conferma di una qualche delimitazione amministrativa dell’agro capracottese in questa direzione.
Infine, nel 1061, a “Capracotta” arrivano i normanni di Riccardo d’Aversa. Il nobile aveva risalito il fiume Volturno e invaso le terre dei Borrello. Le terre e i castelli di Forli del Sannio, Carovilli, Pietrabbondante e Agnone erano stati saccheggiati. Nel nostro territorio, i militari normanni vi rimangono per qualche giorno. Poi, riprendono l’offensiva dirigendosi a nord con l’intenzione di superare le giogaie del Monte Campo e piombare all’improvviso su Pescopennataro, Rosello e Borrello, “capitale” dei possedimenti dell’omonima famiglia.
La dominazione longobarda sull’Alto Molise termina nel 1105. In questa data, Ugo I di Moulins, conte normanno di Bojano, sconfigge i Borrello, diventando signore di Pietrabbondante e di Trivento, le ultime due contee longobarde ancora indipendenti. I Borrello conservano i loro possedimenti ma sono costretti ad assistere impotenti al sub-infeudamento dei loro domini. Si chiude un’epoca e se ne apre un’altra. La riunificazione politica del Mezzogiorno sotto la corona normanna rilancia la pratica della transumanza invernale delle greggi dalle alture abruzzesi verso i pascoli del Tavoliere. Capracotta viene a trovarsi nelle immediate vicinanze della cosiddetta “via degli Abruzzi”, che dal Regno di Napoli porta la lana nella città di Firenze, inserendosi in questo lucroso commercio. Nel giro di un paio di secoli, Capracotta conta circa un migliaio di abitanti. E, soprattutto, giungono a maturazione tutte quelle condizioni necessarie per il suo grande sviluppo economico, sociale, culturale e urbanistico del Rinascimento.
Francesco Di Rienzo
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