È risaputo che, sin dal Basso Medioevo, i capracottesi commerciavano legna e carbone o praticavano la transumanza nella limitrofa regione della Capitanata, spingendosi fin dentro le Murge, e agli albori del XVIII secolo la nostra chiesa della Madonna di Loreto risultava locata presso la Dogana di Foggia con grandi proprietà terriere tra Minervino e Canosa. In quest’ultima cittadina, nel primo Seicento, all’interno della chiesa del Carmelo, venne costruito un altare con sepolture assegnate ai pastori di Capracotta, come attestano le registrazioni riscontrate sui libri dei morti custoditi nell’Archivio prevostale della cattedrale di San Sabino. Ma questa folta presenza di nostri compaesani non impediva epiloghi drammatici nelle liti tra carbonai, pastori, massari, locati e indigeni. A pagina 276 della “Guida alla Letteratura Capracottese” ho presentato una pubblicazione firmata da Mario Porro, Ugo Carozza e Romeo Como che raccoglie gli atti del convegno di ricerche storiche sul Tribunale ecclesiastico di prima istanza avvenuto a Canosa il 15-16-17 febbraio 2008. Con l’alto patrocinio del presidente della Repubblica Italiana, avevano converso a quell’appuntamento il Centro studi storici e socio-religiosi in Puglia, la basilica cattedrale di San Sabino, la Fondazione archeologica canosina e la Società di Storia patria per la Puglia. Tra le tante ricerche presentate, la mia attenzione è stata monopolizzata dagli acta criminalia, in particolare da un’inchiesta datata 23 ottobre 1714. Si tratta dell’interrogatorio teso a ricostruire l’omicidio del pastorello capracottese Mattia Di Rienzo, ucciso da un colpo d’archibugio per mano d’un prete nelle campagne di Minervino. Furono chiamati a testimoniare il barbiero prattico Daniele Corvigno e il prattico Michele Forina. Nel I° foglio di quell’inchiesta – redatta ora in latino ora in volgare e condotta dal canonico Alessio di Conversano – c’è il mandato per l’inumazione e il riconoscimento del cadavere, che recita così:
Die 23 mensis Octobris 1714 Canusij facto accessum pro Rev.mo Domino Vicario Generale super infrascriptum actuarium, et subscripti testes ad conventum Sancte Marie de Monte Carmelo dicte civitatis subiutum tamquam supprescum Ordini Juriditioni dicti Rev.mi Domini Vicarij Generalis, et de mandato ex humatione cuiusdem cadaveris de recenti humato in sepulcrum Cappelle Sancti Sebastiani invenitum talis Pruzzese di Capracotta esistente in detta Cappella in ecclesia altari conventis dictoque cadavere trasportato extra histam ecclesiam sacrosacram et immunem, totumque Conventhum predictum, visum, expertum fuit per me infrascriptum actuarium infradictisque testes coram Rev.mo Domino cadaver cuiusdam hominis masculi etatis circiter annorum tredecim sine barba et ob eisdem infrascriptibus testibus fuit bene observatum, et recognitum esse Mattia di Rienzo terre Capracotte ipsis testibus bene noti quia conversabatur saepe sepius in hac civitate vulneratum dictum cadaver sub spatula sinistra prope renes, cum ictu archibusij, ut dignescitur ex pluribus pillulis plumbeis circum circa vulneris existentibus, et facientibus in medio unum solum foramen penetrans, ex quo dicunt infrascripti testes esse causam ipsius, Mattia de Rienzo mortem, que omnia vidimus et observavimus ut supra.
Dal suddetto mandato emerge che il nostro pastorello era «sine barba» e probabilmente aveva tredici anni quando andò incontro alla morte; fu quindi sepolto nella chiesa del Carmelo di Canosa, all’interno della cappella di San Sebastiano, evidentemente assegnata ai capracottesi, come il nome del Santo protettore lascia intuire. Nel II° foglio v’è la prima deposizione testimoniale, resa dal barbiere trentacinquenne Daniele Corvigno, anch’egli immigrato in Puglia da Pomarico, nel Materano, dopo aver sposato una donna del luogo. Leggiamo la sua testimonianza:
«Io vedo et conosco benissimo questo corpo morto che stà disteso qui in terra, quale mentre viveva si chiamava Mattia di Rienzo ferito con colpo d’archibugiata sotto la spalla sinistra vicino le reni, come si conosce da molti pallini di piombo, che stanno in giro, e particolarmente in mezzo fanno un solo buco grosso penetrante dal che ne causata la sua morte, mentre Domenica 14 del corrente mese mi fù portato detto Mattia figliolo di tredeci anni, et un altro giovane chiamato Felice di Buccio pure di Capracotta per medicarli le loro ferite, cioè al detto Mattia nel luoco sudetto del suo corpo, e à detto Felice nella sua mano per botte di sciabola seu cortello; et benché io mi avessi usato ogni diligenza pure l’istesso Mattia in capo di due giorni ve ne morì, come giudico che s’è morto per detto colpo d’archibugiata».
Interrogatus: «An sciat vel alteris audiverit quisnam occidevit ipsum Mattiam de Rienzo, qua de causa, et occasione, et quando».
Respondit: «Io non lo sò, se bene hò inteso dire da detto Mattia quando mi giurasse ferito che l’era stato tirato una archibugiata da un prete della città di Minverino fuora di detta città».
Interrogatus: «Quomodo cognoscebatur Mattiam de Rienzo, et huius patria sit».
Respondit: «L’hò inteso dire da altri suoi paisani con dire esser figlio di Nicola Rienzo di Capracotta locato ordinario della locatione di Canosa, solliti praticare col padre in questa città e sin nel tempo che calano l’Abbruzzesi, che sono della terra di Capracotta».
Dalla testimonianza del Corvigno emerge che questi, il 14 ottobre, aveva prestato soccorso al giovane Mattia e al suo compaesano Felice Di Bucci, e che due giorni dopo il Di Rienzo era spirato per le ferite da armi da fuoco riportate all’altezza del rene sinistro. Leggiamo ora la deposizione del quarantenne Michele Forina contenuta nel III° foglio:
«Conosco benissimo e iuro questo corpo morto disteso qui in terra, e mentre viveva hò inteso dire si chiamava Mattia di Rienzo ferito col colpo d’archibugiata sotto la spalla sinistra vicino le reni e si conosce da molti pallini di piombo che sono nel giro e molti di essi faceno un grosso buco penetrante e per questo na causata la sua morte e hò inteso anco dire che vi era un altro ferito nella mano con botte di sciabola o cortello, li quali ambi sono stati indicati da Daniele Corvigno quasi perito in Chiroggia e il medesimo Mattia frà due giorni se ne morì, giudico sia morto per detto colpo d’archibugiata».
Interrogatus: «An sciat vel altrui dici audiverit quisnam occidevit ipsus Mattiam de Rienzo qua de causa, et occasione, et quando».
Respondit: «Io per me non lo so, hò bene inteso dire da alcuni Abbruzzesi di Capracotta l’era stato tirato una archibugiata da un prete della città di Minervino fuori di dettà città».
Interrogatus: «Quomodo cognoscebatur Mattiam de Rienzo, et huius patria sit».
Respondit: «Per haverlo inteso dire dalli suoi paisani che era figlio di Nicola di Rienzo di Capracotta locato ordinario della locatione di Canosa, soliti praticare in questa città nel tempo che calano l’Abbruzzesi della terra di Capracotta».
Non ci è dato sapere come andò a finire quell’inchiesta ma possiamo immaginare che a tredici anni i bambini venissero affidati ai pastori transumanti per accudire i cani da pastore e imparare il mestiere ad un tempo. Dopo trecento anni da quell’orribile misfatto perpetrato in terra di Puglia, nasce spontanea una riflessione sull’oggi, ovvero su quanto lo sfruttamento del lavoro minorile e i diritti del bambino siano temi d’una modernità inquietante.
Francesco Mendozzi
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